Tutto è male

Tutto è male. Cioè tutto quello che è, è male; che ciascuna cosa esista è un male; ciascuna cosa esiste per fin di male; l’esistenza è un male e ordinata al male; il fine dell’universo è il male; l’ordine e lo stato, le leggi, l’andamento naturale dell’universo non sono altro che male, né diretti ad altro che al male. Non v’è altro bene che il non essere; non v’ha altro di buono che quel che non è; le cose che non son cose: tutte le cose sono cattive. Il tutto esistente; il complesso dei tanti mondi che esistono; l’universo; non è che un neo, un bruscolo in metafisica. L’esistenza, per sua natura ed essenza propria e generale, è un’imperfezione, un’irregolarità, una mostruosità. Ma questa imperfezione è una piccolissima cosa, un vero neo, perché tutti i mondi che esistono, per quanti e quanto grandi che essi sieno, non essendo però certamente infiniti né di numero né di grandezza, sono per conseguenza infinitamente piccoli a paragone di ciò che l’universo potrebbe essere se fosse infinito; e il tutto esistente è infinitamente piccolo a paragone della infinità vera, per dir cosí, del non esistente, del nulla.

Questo sistema, benché urti le nostre idee, che credono che il fine non possa essere altro che il bene, sarebbe forse più sostenibile di quello del Leibnitz, del Pope ec. che tutto è bene. Non ardirei però estenderlo a dire che l’universo esistente è il peggiore degli universi possibili, sostituendo così all’ottimismo il pessimismo. Chi può conoscere i limiti della possibilità?

[Zibaldone, 4174, 2]

Giuseppe Rensi

Frammenti d'una filosofia dell'errore e del dolore, del male e della morte

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Un popolo di filosofi

La civiltà delle nazioni consiste in un temperamento della natura colla ragione, dove quella, cioè la natura, abbia la maggior parte. Consideriamo tutte le nazioni antiche, la persiana a tempo di Ciro, la greca, la romana. I romani non furono mai cosí filosofi come [p. 226 modifica]quando inclinarono alla barbarie, cioè a tempo della tirannia. E parimente negli anni che la precedettero i romani aveano fatti infiniti progressi nella filosofia e nella cognizione delle cose, ch'era nuova per loro. Dal che si deduce un altro corollario, che la salvaguardia della libertà delle nazioni non è la filosofia né la ragione, come ora si pretende che queste debbano rigenerare le cose pubbliche, ma le virtú, le illusioni, l'entusiasmo, in somma la natura, dalla quale siamo lontanissimi. E un popolo di filosofi sarebbe il piú piccolo e codardo del mondo. Perciò la nostra rigenerazione dipende da una, per cosí dire, ultrafilosofia, che conoscendo l'intiero e l'intimo delle cose, ci ravvicini alla natura. E questo dovrebb'essere il frutto dei lumi straordinari di questo secolo (7 giugno 1820).

La barbarie non consiste principalmente nel difetto della ragione ma della natura (7 giugno 1820).

[Zibaldone, 114-115]

La società ristretta

L’amor proprio dell’uomo e di qualunque individuo di qualunque specie è un amore di preferenza. Cioè l’individuo, amandosi naturalmente quanto può amarsi, si preferisce dunque agli altri, dunque cerca di soverchiarli in quanto può, dunque effettivamente l’individuo odia l’altro individuo; e l’odio degli altri è una conseguenza necessaria ed immediata dell’amore di se stesso; il quale essendo innato, anche l’odio degli altri viene ad essere innato in ogni vivente.

Dal che segue, per primo corollario, che dunque nessun vivente è destinato precisamente alla società, il cui scopo non può essere se non il ben comune degl’individui che la compongono: cosa opposta all’amore esclusivo e di preferenza, che ciascuno inseparabilmente ed essenzialmente porta a se stesso, ed all’odio degli altri, che ne deriva immediatamente, e che distrugge per essenza la società. Cosí che la natura non può nel suo primitivo disegno aver considerata né ordinata altra società nella specie umana, se non simile piú o meno a quella che ha posta in altre specie, vale a dire una società accidentale e nata e formata dalla passeggera identità d’interessi e sciolta col mancare di questa; ovvero durevole, ma lassa o vogliamo dir larga e poco ristretta, cioè di tal natura che, giovando agli interessi di ciascuno individuo in quello che hanno tutti di comune, non pregiudichi agli interessi o inclinazioni particolari in quello che si oppongono ai generali. Cosa che accade nelle società dei bruti e non può mai accadere in una società cosí unita, ristretta, precisa e determinata da tutte le parti, come è quella degli uomini.

È cosa notabilissima che la società tanto piú per una parte si è allargata, quanto piú si è ristretta, dico fra gli uomini. E quanto piú si è ristretta, tanto piú è mancato il suo scopo, cioè il ben comune e il suo mezzo, cioè la cospirazione di ciascuno individuo al detto fine. Conseguenza naturale, ma niente osservata, del corollario precedente e della proposizione da cui questo deriva. Osservate.

Ridotto l’uomo dallo stato solitario a quello di società, le prime società furono larghissime. Poco ristrette fra gl’individui di ciascuna società e scarse nella rispettiva estensione e numero; niente o pochissimo ristrette fra le diverse società. Ma in questo modo il ben comune di ciascuna società era effettivamente cercato dagl’individui, perché da un lato non pregiudicava, dall’altro favoriva, anzi spesso costituiva il ben proprio. E il ben comune risultava effettivamente da dette società, simili piú o meno alle naturali e conforme alle considerazioni fatte nel precedente corollario. Le società si sono ristrette di mano in mano che veniamo giú discendendo dai tempi naturali, e ristrette per due capi: 1°, tra gl’individui di una stessa società; 2°, tra le diverse società. Oggi questa ristrettezza è al colmo in tutti due questi capi. Ciascuna società è cosí vincolata: 1°, dall’obbedienza che deve per tutti i versi, in tutte le minuzie, con ogni matematica esattezza al suo capo o governo; 2°, dall’esattissimo regolamento, determinazione, precisazione di tutti i doveri e osservanze, morali, politiche, religiose, civili, pubbliche, private, domestiche ec. che legano l’individuo agli altri individui; è, dico tanto vincolata, e stretta e circoscritta, che maggior precisione e strettezza non si potrebbe forse immaginare per questa parte. Le diverse società poi sono cosí strette fra loro (dico le civili massimamente, ma non solamente), che l’Europa forma una sola famiglia, tanto nel fatto, quanto rispetto all’opinione e ai portamenti rispettivi de’ governi, delle nazioni, e degl’individui delle diverse nazioni. In questo momento poi l’Europa è piuttosto una nazione governata da una dieta assoluta; o vogliamo dire sottoposta ad una quasi perfetta oligarchia, o vogliamo dire comandati da diversi governatori la cui potestà e facoltà deriva e risiede nel corpo intero di essi ec., di quello che si possa chiamare composta di diverse nazioni.

Che è derivato e deriva da tutto ciò?

[…] Non solo non c’é piú amor patrio, ma neanche patria. Anzi neppur famiglia. L’uomo, in quanto allo scopo, è tornato alla solitudine primitiva. L’individuo solo, forma tutta la sua società. Perché, trovandosi in gravissimo conflitto gl’interessi e le passioni, a causa della strettezza e vicinanza, svanisce l’utile della società in massima parte; resta il danno, cioè il detto conflitto, nel quale l’uno individuo, e gl’interessi suoi, nocciono a quelli dell’altro, e non essendo possibile che l’uomo sacrifichi intieramente e perpetuamente se stesso ad altrui (cosa che ora si richiederebbe per conservare la società) e prevalendo naturalmente l’amor proprio, questo si converte in egoismo, e l’odio verso gli altri, figlio naturale dell’amor proprio, diventa nella gran copia di occasioni che ha, piú intenso, e piú attivo. 2°, Si è perduto in gran parte e si va sempre perdendo lo scopo della società, ch’é il bene comune, e ciò per la stessa ragione per cui se n’é perduto il mezzo, cioè la cospirazione degl’individui al detto fine. […]

[…] l’amor proprio si trasformava in amor di patria. E l’odio verso gli altri individui? Non già spariva, ch’è sempre ed eternamente inseparabile dall’amor proprio, e quindi dal vivente: ma si trasformava in odio verso le altre società o nazioni. Cosa naturale e conseguente, se quella tal società o patria era per ciascuno individuo come un altro se stesso. Quindi desiderio di soverchiarle, invidia de’ loro beni, passione di render la propria patria signora delle altre nazioni, ingordigia altresí de’ loro beni e robe, e finalmente odio ed astio dichiarato; tutte cose che nell’individuo trovandosi verso gli altri individui, lo rendono per natura incompatibile colla società.

Dovunque si è trovato amor vero di patria, si è trovato odio dello straniero; dovunque lo straniero non si odia come straniero, la patria non si ama. Lo vediamo anche presentemente in quelle nazioni, dove resta un avanzo dell’antico patriotismo.